tratto da Tutto Uno
Una ricerca effettuata presso la Chinese University di Hong Kong ha portato all’uso di batteri E.coli per archiviare dati. Collegando il codice binario alla sequenza genetica, gli scienziati sono riusciti a caricare la Dichiarazione di Indipendenza americana in 18 batteri. Questo significa che se si usasse 1 grammo di E.coli si potrebbero archiviare 90 GB di dati.
Al momento l’uso industriale di memorie esterne organiche è ancora lontano. I batteri possono mutare e rovinare il contenuto informativo. Di sicuro resta un passo verso questo tipo di tecnologie. Link
Il mondo è popolato da una quantità sempre crescente di informazioni, informazioni che vanno pari passo con supporti in grado di conservarle in modo efficiente e performante. Se la capienza degli hard disk cresce ogni anno, c'è un'altra frontiera della memoria in via di esplorazione: la memoria biologica. Un gruppo di studenti della Chinese University di Hong Kong sta facendo notevoli passi avanti nell'immagazzinare informazioni su un supporto decisamente insolito: il batterio E. coli.
"Questo significa che saremo in grado di mantenere grandi set di dati nel lungo termine in una scatola di batteri all'interno di un congelatore" dice Aldrin Yim, uno degli studenti che partecipa al Biostorage Project.
Con il termine "biostorage" si intende la conservazione di informazioni all'interno di organismi viventi. Non è un campo scientifico nuovo, dato che è in corso di sviluppo da circa una decade: nel 2007, ad esempio, un team della Keio University giapponese ha codificato all'interno del DNA di un batterio la formula E=MC2.
Dato che i batteri si riproducono costantemente, un gruppo di organismi monocellulari potrebbe conservare pezzi di informazione per migliaia di anni. Ma dal 2007 i passi avanti sono stati notevoli, e i ragazzi di Hong Kong hanno sviluppato un metodo per immagazzinare dati complessi all'interno di organismi viventi, comprimendoli e distribuendoli in frammenti all'interno di una colonia batterica.
La tecnica consiste nella rimozione del DNA dalle cellule batteriche, nel manipolare il patrimonio genetico utilizzando una serie di enzimi, e nell'inserire il DNA all'interno di nuove cellule. Un metodo simile a quello utilizzato per creare i cibi geneticamente modificati, ma che non cambia la struttura di base del DNA, ma si limita ad aggiungere nuovi frammenti di informazioni, verificando che queste aggiunte non provochino spiacevoli effetti collaterali.
Il metodo consente di ottenere prestazioni di memoria incredibili: un solo grammo di batteri sarebbe in grado di contenere i dati di 450 hard disk da 2 terabyte di capienza ciascuno. E in modo teoricamente più sicuro dei tradizionali computer: il team ha infatti sviluppato un sistema di sicurezza a tre livelli. "I batteri non possono essere 'hackerati'" spiega Allen Yu, altro studente coinvolto nel progetto. "Tutti i tipi di computer sono vulnerabili a problemi elettrici o al furto di dati. Ma i batteri sono immuni dai cyberattacchi. Si possono salvaguardare le informazioni".
Ogni batterio dotato di "biocrittografia" è fornito di un meccanismo di controllo che impedisce che le mutazioni naturali del loro patrimonio genetico non alterino i dati che questi microrganismi custodiscono.
Una delle applicazioni più immediate sarebbe quella di aggiungere una sorta di codice a barre all'interno di organismi geneticamente modificati. Si potrebbero inserire informazioni sul copyright o sulla provenienza, e altri dati che possano aiutare a monitorare nell'ambiente la diffusione di organismi geneticamente modificati.
Ma le applicazioni future potrebbero spingersi ben oltre a questo. I batteri sono spesso in grado di sopravvivere a condizioni ambientali incredibilmente dure, addirittura a disastri atomici (come il Deinococcus radiodurans). Occorrerà comunque aspettare diversi anni prima che il metodo di scrittura e lettura delle informazioni possa divenire così efficiente da rendere possibile la realizzazione di applicazioni in campo elettronico.
Hong Kong researchers store data in bacteria
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