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domenica 13 novembre 2011

GLI ELFI TRA STORIA, LEGGENDA ED ESOTERISMO

                                           

I Sidhe (pronuncia Shee) erano il popolo fatato delle leggende celtiche con cui l’epopea elfica ebbe inizio. La loro origine, tuttavia, affonda in un mito ancora più antico, quello dei Tuatha De Danaann (la tribù della Dea Danu).


Rappresentano la seconda delle popolazioni che occuparono l’Irlanda nel mito. Grazie all’uso delle arti magiche i Tuatha conquistarono la supremazia sui fir Bolg che ivi erano già stanziati e che alcuni studiosi identificano con gli dei celtici. I Tuatha De Danaann arrivarono dal cielo avvolti in una nube con i loro quattro tesori magici: la Pietra del Destino, la Lancia di Lugh, la Spada di Danu il Calderone di Dagdha.

Nonostante tutti i loro poteri furono sconfitti dai successivi invasori, i Milesi. Ciò nondimeno, il rispetto per il nemico sbaragliato e per la sua sapienza magica, fu tale che i vincitori arrivarono a cantarne le gesta, conferendogli un alone di divinità, tantoché i re Tuatha assursero al ruolo di Dei. Fu così che nacque Faerie, il luogo magico in cui i Tuatha, da allora riconosciuti come i Sidhe, si ritirano per ricomparire saltuariamente. Era una sorta di paradiso pagano, in cui i guerrieri combattevano per rinascere dopo la morte, e vivevano tra banchetti e divertimenti.




La tradizione originaria dei Sidhe-Elfi venne successivamente rielaborata con mille rivoli delle tradizioni popolari, talvolta sovrapponendosi agli spiriti pagani dell’acqua, del mare e delle foreste. Da questa stirpe derivò la miriade di creature del cosiddetto Piccolo Popolo. Sono esseri spesso malvagi, talvolta burloni, sempre elusivi e misteriosi; entità che esistono a cavallo tra due mondi e che possono attirare gli umani verso Faerie, un luogo da cui nessuno può, o forse vuole, fare ritorno. E’ in questa forma che, prima con Geoffrey Chaucer e poi con Shakespeare, gli elfi furono ripresi dalla tradizione entrando nella letteratura. Produzione letteraria e tradizione popolare finirono per incontrarsi nell’opera di raccolta delle fiabe e leggende irlandesi di William Butler Yeates, quale veicolo che traghettò i popoli di Faerie verso il mondo contemporaneo.

Dal punto di vista storiografico tutto sembra indicare che si tratti di figure mitologiche anteriori al I° o II° secolo d.C..Ne fa menzione Tacito narrando di femmine venerate e chiamate Albruna. Il termine è derivato da una vecchia parola di origine germanica che designa i segreti magici. In Germania la parola “Elfo” (alp. elbe) è assai raro nei testi anteriori al XIII° secolo e, fin da allora, viene utilizzata come sinonimo di “nano” (zwerc). Oltre manica, invece, (aelf, elf, pl. Ylfe) venne usata a partire dall’XI° secolo. Nei Paesi scandinavi (alfr pl. Alfar) è sempre sinonimo di nano (dvergr). I linguisti Jacob Grimm e Ferdinand Saussure, esaminando le varie forme arrivarono alla conclusione, più o meno intuitiva, che il termine fosse appartenuto al latino albus (bianco) da cui anche alpes (le montagne ricoperte di neve) e elbe, nome che invece designa le acque chiare e limpide. Wadstein ricorda il termine indoeuropeo albh, (brillante, essere bianco).

In effetti l’elfo è una creatura luminosa, eterea, evanescente, un essere dal carattere benefico. Per l’Inghilterra è stata composta una lista di trentacinque nomi derivanti da “aelfbeorht” (elfo scintillante) e “aelfwine” (amico degli elfi). In Germania constatiamo il medesimo fenomeno anche se i nomi sono ancora più numerosi e più antichi: “alpho” è attestato in documenti del settecento circa. Vi è prova che verso l’anno mille era in uso il vocabolo “aelfsiden”, letteralmente “magia dell’elfo”, ma che potremmo anche tradurre come “stregoneria o incantamento”. In una vecchia composizione poetica tedesca, una formula di scongiuro per evitare malattie ai cavalli è la seguente: Albo+ Albuo+Alubo. E’ esistito a lungo un pentacolo chiamato “Piede dell’Elfo”, quando in seguito ogni atto soprannaturale venne attribuito al maligno, il suo nome cambiò in “piede di strega”. E’ stata anche ritrovata una porta recante la seguente descrizione: “Contra Elphos hec in plumbo scrive” (contro gli elfi scrivi questo sul piombo), come amuleto destinato a proteggersi dagli incantamenti degli elfi.

Il nome germanico della mandragola è “alraun”, attestato nel X° secolo sotto la forma Albruna. Tutte le operazioni magiche con questo vegetale si compiono di venerdì, in tedesco Freitag, vale a dire il giorno di Freyja, signora degli Elfi! Jòl, il natale pagano, è designato da un sinonimo, il composto Albablòt, il “sacrificio degli elfi”. Questa festa complessa, celebrata al solstizio d’Inverno, associa la commemorazione dei morti a dei riti di fertilità, in questa occasione si compie un grande sacrificio per un anno fecondo e per la pace. C’è un servitore di questo dio, Byggvir, personificazione dell’orgia. L’Alfablòt è una realtà, da una fantasia mitologica, e lo scaldo Sighvat Thordarson racconta come, durante un viaggio in Svezia attorno al 1018, alcuni paesani gli riferirono che avrebbero dovuto compiere un sacrificio agli spiriti di natura.

Il vocabolo elfo è dunque divenuto col trascorrere del tempo un nome collettivo, un termine generico che ingloba tutti gli spiriti naturali.

Perché è avvenuto ciò?

La storia d’Irlanda comincia a partire da 7.000 anni prima della nostra era a nord di Dublino, quando un popolo rimasto sconosciuto, ma probabilmente originario della penisola iberica, si insediò nella valle del fiume Boyne. I tumuli di Newgrange (circa 2500 a.C.) appartengono a quella civiltà.

Dal V° secolo a.C., ad ondate successive, arrivarono dalla Galizia i Galli ed i Celti, che già nel I° secolo a.C. risultavano stabilmente insediati nel paese. Era una popolazione unita dalla stessa lingua e dalla stessa cultura, ma frammentata in una miriade di piccoli reami sempre in guerra tra loro. Un fatto fondamentale: I Romani non arrivarono mai in Irlanda, che si sviluppò indipendentemente dal resto dell’Europa occidentale. Quando nel 432 d.C. San Patrizio giunse in Irlanda e, proprio mentre le invasioni barbariche infuriavano sul continente, il paese divenne un centro e una roccaforte della cultura cristiana: “l’Isola dei Santi e dei Sapienti”.

Tutte queste leggende oltre ad ogni altra produzione scientifica, religiosa, storica e poetica dei Celti ebbero il tempo di tramandarsi per millenni, attraverso trasmissione orale, prima della cristianizzazione.

Ciò che determinò, inoltre, l’inizio del loro lento oblio fu la scomparsa dei druidi.

Secondo la tradizione, il Druidismo era la Religione dei Celti della Gallia e della Britannia pre-romana e i Druidi erano una classe di sacerdoti. Le più lontane informazioni su questa antica casta, a cavallo tra storia e leggenda, nonché su certe superstizioni e credenze misteriose in cui fu coinvolta, ci provengono da scrittori greci e romani. La sua esistenza, ignorata nel Medioevo e riscoperta nel Risorgimento, colpì l'immaginazione non solo di studiosi, ma anche di poeti e artisti.

In quanto unici depositari delle conoscenze scientifiche, giuridiche, mediche, religiose e mistiche, oltre che della storia e del corpus mitologico locale, il loro dileguamento comportò l’irrimediabilmente perdita di quanto era affidato unicamente alla loro memoria.

I Celti ritenevano infatti che la scrittura, che pure conoscevano, non fosse un mezzo adatto alla diffusione ed alla conservazione della conoscenza, che doveva invece essere interamente affidata alla memoria e alla parola. Questo perché il sapere e le tradizioni erano percepite come un qualcosa di vivo, in continua evoluzione, che veniva recepito non passivamente ma rielaborato, riscoperto da colui che ne veniva messo a parte: solo la parola, altrettanto viva, era dunque il mezzo idoneo a comunicare la sapienza, mentre la scrittura era vista come uno strumento morto, fisso e statico.

In seguito furono principalmente i Bardi, di regola, a curare tale trasmissione, che solo in alcune zone vennero riversate su pergamena, principalmente in Irlanda ed in Galles, e solo in seguito alla cristianizzazione (cioè, nel caso dell’Irlanda, a partire dal VI° secolo d.C.) con l’intenzione di preservare ciò che rischiava di scomparire con il declino della classe druidica.

Nel corso della stesura di tali manoscritti, affidata a monaci cristiani, fu però applicato un inevitabile filtro, attraverso il quale le storie vennero talvolta ad acquisire un carattere agiografico funzionale alla politica di cristianizzazione allora in atto. Quando e laddove questo non avvenne, la differenza rispetto all’originale si mantenne comunque significativa. Infatti, oltre all’inevitabile perdita del supporto ritmico e musicale, le storie furono elaborate ed interpretate da persone che non erano più in grado di coglierne la simbologia intrinseca, i riferimenti e i significati originali, retaggio esclusivo di una cultura ormai troppo lontana.

Molti elementi vennero così travisati dai copisti, che oltretutto si preoccuparono di eclissare ogni traccia del paganesimo contenuta. Ecco dunque che divinità come Lugh, Dagda, la Morrigan o Manannan McLyr persero il loro status divino diventando antichi re, stregoni, giganti, esseri magici e fatati, quando non addirittura demoni. In alcuni casi, al contrario, vengono assorbiti dalla cultura cristiana e venerati come santi: è il caso, almeno sembra, di Santa Brigida.

È con in premio nobel irlandese William Butler Yeates che arriviamo all’Elfo dell’epoca vittoriana; sostanzialmente un Folletto di piccole dimensioni (ma ne esistono anche di giganteschi) allegro e spensierato, che visita il nostro mondo per divertirsi alle spalle degli umani. In un certo senso, l’opera di Tolkien è uguale e contraria a quella di Yeates. Se il letterato irlandese ha utilizzato le fonti folcloristiche per creare una narrativa mitologica moderna, l’autore sudafricano, da studioso delle letterature britanniche arcaiche, ha creato il suo mondo fittizio in primo luogo come laboratorio di linguistica.

I Druidi insegnavano che la parte spirituale dell'uomo, che essi chiamavano “Awen”, discende da un principio spirituale più immanente, un principio universale. Awen discende nei piani inferiori di vita ed anima le forme minerali, vegetali ed animali; alla fine giunge ad incarnarsi sotto forma umana. Essi parlavano anche di una sorta di stato abissale di rotazione, chiamato “Anufu”, da cui Awen si libera per inserirsi nel ciclo della liberazione, ovvero i cicli di rinascita definiti con il termine di “Abred”. I loro postulati andavano oltre, asserendo che lo stato di Abred include numerose esistenze e che, alla fine, Awen giunge ad una liberazione definitiva, trasferendosi nel cerchio della beatitudine, “Gwynfid”, in cui trascorrerà un tempo indefinibile di estasi esistenziale. Facevano quindi riferimento alla reincarnazione o metempsicosi e questo sottolinea la continuità attraverso il tempo e le razze della trasmissione di un antico sapere iniziatico, cosi come , dall’altra parte del mondo, era avvenuto col Brahmanesimo, in quanto sviluppo del Vedismo.

Potremmo continuare ad esporre molto a lungo elementi e teorie storiche, storiografiche, leggende e antichi racconti. Non ci discosteremmo più di tanto da quanto fin qui sinteticamente esposto e da quanto genericamente conosciuto.

Se invece procediamo ad analizzare con visione olistica, senza addentrarci in antri parossistici, gli elementi comuni, dalla mitologia irlandese a quella germanico – norrena ed i parallelismi con tradizioni e miti di altre civiltà arcaiche, notiamo come il quadro perde buona parte della sua fumosità, mostrando contorni e sfumature che anche un neofita, con un po’ di riflessione, può notare. In questo quadro così “ridisegnato” appare decisamente meno arbitrario e speculativo accostare la figura degli elfi agli elementi naturali quali fuoco, terra, acqua e aria, dai quali traggono energia ed essenza. Elementi presenti con nomi diversi in tante altre culture del tempo,diffuse nei vari angoli del mondo.

Racconti e testimonianze restano univoci nel riferirsi ad una popolazione che vive in comunione ed agisce in base a tali elementi e non racchiusa in congreghe socialmente organizzate. Le descrizioni che di essa si sono fatte restano assai dissimili, come lo sono anche gli intenti, gli ambiti comportamentali e le caratteristiche attitudinali.

Senza tirarla troppo per le lunghe, ma con la disponibilità, qualora vi sia l’interesse, ad approfondire il tema, concludo affermando, per quanto ai più possano sembrare fantasioso, che gli elfi siano stati e restino il risultato di un processo di antropomorfizzazione di elementi naturali eterogenei e diffusi, caratteristici di un livello esistenziale vibrazionalmente diverso dal nostro. Non sono buoni ma neanche malvagi, sono semplicemente Elfi! Così li hanno chiamati tanto tempo fa!

Se solo fossimo meno ottenebrati dalla mole di sovrastrutture che ci siamo costruiti intorno potremmo ancora vederli!

In effetti, a volte li vediamo… è che non sappiamo dargli un nome.

Avete presente quando, soprattutto al mattino, vi sembra di aver percepito con la coda dell’occhio una sorta di ombra fugace che è sfuggita alla vostra identificazione!

Cosa credete che siano, come possiamo definirli?!

Vecchio e Saggio
 
fonte

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