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venerdì 4 novembre 2011

George Orwell,1984





Il racconto illustra l'ingranaggio di un governo totalitario. L'azione si svolge in un futuro prossimo del mondo (l'anno 1984) in cui il potere si concentra in tre immensi superstati: Oceania, Eurasia ed Estasia. Londra è la città principale di Oceania. Al vertice del potere politico in Oceania c'è il Grande Fratello, onnisciente e infallibile, che nessuno ha visto di persona. Sotto di lui c'è il Partito interno, quello esterno e la gran massa dei sudditi. Ovunque sono visibili grandi manifesti con il volto del Grande Fratello. Gli slogan politici ricorrenti sono: "La pace è guerra", "La libertà è schiavitù", "L'ignoranza è forza".


Il Ministero della Verità, nel quale lavora il personaggio principale, Winston Smith, ha il compito di censurare libri e giornali non in linea con la politica ufficiale, di alterare la storia e di ridurre le possibilità espressive della lingua. Per quanto sia tenuto sotto controllo da telecamere, Smith comincia a condurre un'esistenza ispirata a principi opposti a quelli inculcati dal regime: tiene un diario segreto, ricostruisce il passato, si innamora di una collega di lavoro, Julia, e dà sempre più spazio a sentimenti individuali.


 


Insieme con un compagno di lavoro, O'Brien, Smith e Julia iniziano a collaborare con un'organizzazione clandestina, detta Lega della Fratellanza. Non sanno tuttavia che O'Brien è una spia che fa il doppio gioco ed è ormai sul punto di intrappolarli. Smith viene arrestato, sottoposto a torture e a un indicibile processo di degradazione. Alla fine di questo trattamento è costretto a denunciare Julia.



Infine O'Brien rivela a Smith che non è sufficiente confessare e sottomettersi: il Grande Fratello vuole avere per sé l'anima e il cuore di ogni suddito prima di metterlo a morte.



In 1984, George Orwell interpreta la dittatura come l'assenza di libertà per tutti gli individui. Nessuno escluso. Nemmeno i funzionari più alti del "partito" al potere, infatti, godono di alcun privilegio; anzi, sono i primi e i più convinti fautori dell'autolimitazione della libertà personale. Esemplare è l'interrogatorio finale condotto dal funzionario ai danni del protagonista, in cui il primo dimostra tutto il proprio fervore ideologico difendendo la pratica del bis-pensiero (artificio che limita, mediante la sottrazione di termini atti a esprimerli, i concetti a disposizione dei cittadini) e praticandola egli stesso con assoluta convinzione.

Forse, il motivo per cui 1984 è uno dei romanzi più inquietanti della storia della letteratura è proprio questo: la dittatura ipotizzata da Orwell è disumana: non abbiamo nemmeno il conforto (inconscio) che ci potrebbe derivare dal constatare l'umana "corruzione del privilegio" che, sotto sotto, ci aspetteremmo dalla classe al potere, quale che essa sia. La dittatura immaginata da Orwell è una dittatura mentale, non fisica; viene imposta con il lavaggio del cervello, con le sparizioni improvvise, senza alcun clamore, senza alcuna violenza apparente.



Nel libro quel funzionario lascia intravedere una realtà ancora più inquietante: la disumanizzazione del potere è rappresentata proprio dalla scelta di rendere immortale il Grande Fratello. In realtà Orwell estremizza una tendenza comunissima di tutte le dittature, la deificazione del capo, ma il risultato è comunque terrificante. L'uomo di Orwell sceglie il potere come fine supremo, e non come mezzo per acquisire la "libertà" di dominare, diventando egli stesso schiavo del meccanismo che ha creato. Ricordo una frase di Fromm, se non mi sbaglio in "Psicanalisi dell'amore". Egli si chiedeva se era più libero il carcerato o il suo guardiano, concludendo che entrambi erano prigionieri di un "meccanismo" che non permette all'uomo di raggiungere il suo vero fine, coltivare la propria umanità. Gli impiegati del partito interno godono di piccoli privilegi, quale l'ereditarietà della loro condizione e razioni più abbondanti, ma sono essi stessi schiavi dell'idolo che hanno creato.



Quello che spaventa, in Orwell, è la Folla: questa massa di persone omologate, istigate a comando a scatenare gli istinti violenti nel corso delle sessioni appositamente inscenate nelle aziende enormi e spersonalizzate, che si comportano tutte allo stesso modo, che accettano tutte con passiva convinzione l'ideologia imposta dal Grande Fratello. E non c'è ribellione, non c'è resistenza: a ribellarsi è un singolo, smarrito nella marea degli omologati, e per questo è condannato sin dall'inizio. Il lettore lo sa, lo sa bene, e quindi l'angoscia non lo abbandona mai.



L'elemento più inquietante del libro è proprio il "salto di qualità" che il Grande Fratello aveva fatto compiere alla dittatura. Egli non solo pretende obbedienza assoluta, ma anche la spontanea condivisione del sogno. E' significativo che i dissidenti vengano giustiziati soltanto dopo la loro "spontanea" adesione al regime, quando sono convinti dell' "equità" della loro pena.



L'ultimo passo del Grande Fratello è la prevenzione dell'opposizione, mediante la limitazione della capacità di pensiero ottenuta tramite una lingua in cui non è possibile più esprimere il proprio pensiero (la prima ribellione del protagonista è consistita proprio nello scrivere su di un quaderno: "Odio il Grande Fratello"). Se l'uomo non ha la capacità di identificare in maniera razionale il motivo della sua sofferenza, poiché non ha parole per esprimerlo e per rifletterci, allora non può neanche definire la causa della propria sofferenza e l'oggetto del proprio odio.

Tutto quel che rimane è soltanto un rancore indefinito, che può essere

spazzato via attraverso le sedute di "odio collettivo".



La relazione tra linguaggio e capacità critica e' estremamente interessante. Come impostare un ragionamento logico-deduttivo se nella propria lingua non esiste il periodo ipotetico? Le capacità di astrazione sono influenzate dal linguaggio utilizzato se l'uomo non è in grado o non può, nel caso prospettato in 1984, modificare la propria lingua?

In quest'ottica, credo che l'impoverimento del linguaggio a cui assistiamo

attualmente sia preoccupante. Che cosa ne pensate della scomparsa del congiuntivo dalla televisione?



Credo che 1984 sia uno di quei libri che "avvelena" l'anima, e che per questo non possa essere messo da parte senza ragionarci a lungo.



Altro spunto di discussione: il ruolo della guerra, interna ed esterna,

nell'economia di una dittatura. Credo che nello sviluppo di questo tema si

riconoscono le basi culturali socialiste di Orwell.



La dittatura ipotizzata da Orwell usa e sviluppa la tecnologia, e sembrerebbe che il fine sia quello di vincere la guerra contro Estasia e/o Eurasia. In realtà questa e' il solo modo per mantenere la disciplina interna, in quanto le esigenze di produzione bellica non permettono l'aumento della produzione per il consumo, e quindi il miglioramento delle condizioni di vita della popolazione. La maggior parte degli storici "materialisti" individua proprio nel miglioramento delle condizioni di vita dei "sottoposti" uno dei fattori più forti di destabililizzazione del potere. I gruppi che non devono preoccuparsi della propria sopravvivenza materiale, solitamente chiedono la partecipazione alla gestione del potere. Ecco perché la guerra è una condizione permanente per la dittatura orwelliana, la cui necessarietà viene compresa, soltanto alla fine, dal protagonista.



E' difficile rendere avvincente un trattato politico, eppure Orwell c'è riuscito benissimo, creando un mondo verosimile in cui l'uomo è un semplice, sostituibile ingranaggio della macchina della dittatura.



Inoltre credo che 1984 sia così inquietante perché identifica ed estremizza alcuni aspetti del potere che possono essere ritrovati non solo nella dittatura stalinista alla quale Orwell si è ispirato, ma anche nella nostra democrazia, come ad esempio la relazione tra potere e strumenti di comunicazione (Tv, radio, giornali), oppure potere e storia (Kundera ha scritto in uno dei suoi romanzi che i potenti si impadroniscono delle stanze in cui si scrive la storia per controllare il futuro).



Associo questo libro a Fareneith 451 di Bradbury, che pur essendo molto bello, trovo molto meno inquietante a confronto.



Soprattutto la dittatura in 1984 nasce grazie al continuo revisionismo storico, all'aggiornamento quotidiano della "Verità". Infatti, quando si combatte un nuovo nemico, si eliminano o si correggono tutti i precedenti articoli, libri, riferimenti al vecchio nemico. (Il mondo era diviso in tre imperi). Alla fine, è lecito (e viene detto) dubitare addirittura che la guerra esista.



Questa, come è già stato detto da altri, è una prassi comune (seppur non in

modo tanto palese e sistematico come nel romanzo di Orwell) a tutte le

dittature: i libri di testo, soprattutto, vengono alterati a seconda di ciò che conviene alla classe dominante. Ma il revisionismo si estende anche a altri campi.



Orwell porta questo procedimento all'estremo, ma quello che più colpisce non è tanto l'operazione di revisione continua effettuata dalla classe dominante, quando altri due elementi: la passività con cui la cittadinanza accetta come "verità" qualcosa che sa benissimo non essere vera; e la presenza di un vero e proprio "ministero" dove gli impiegati, quotidianamente, hanno il compito di riscrivere i giornali e i libri di storia per adeguarli alla situazione attuale. Ma, ancora più inquietante, forse, è il fatto che i libri e i giornali "originali" vengano sistematicamente distrutti, contribuendo così alla creazione di un mondo fasullo a cui anche gli stessi membri della classe al potere non possono fare a meno di credere
 
 

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