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venerdì 20 aprile 2012

Che cos'è la realtà?



Mauro Villone, giornalista che segue la rubrica della Stampa.it "Un Altro Sguardo", ha scritto un articolo stupendo sulla fotografia che condivido appieno, essendo anche io appassionato della materia ma assolutamente dilettante. E' utile leggerlo perchè, parlando di foto, tocca argomenti che trattiamo spesso sul nostro Blog e lascia spesso a bocca aperta, aumentando, speriamo, la consapevolezza di ciò che ci circonda...
LA FOTOGRAFIA E' UNA BUGIA... Parola di Andreas Feininger
 

Il grande maestro della fotografia Andreas Feininger, anche bravo scrittore, affermava in un paio di suoi libri di alcuni decenni fa (“La nuova tecnica della fotografia” e “La nuova tecnica della fotografia a colori”) che tutte le foto sono, in fondo, delle bugie. La sua argomentazione è la seguente:

Prendi un pezzo di paesaggio, di scena, un ritratto, un soggetto, puoi modificare, volendo, le luci, in ogni caso tale scena la chiudi in un riquadro 2x3 o con altre proporzioni, le togli tridimensionalità, temperatura, odori e suoni. In seguito modificherai, volente o nolente, i colori, i bianchi, i neri e i grigi (succedeva anche prima di Photoshop, con le tecniche di stampa, i diversi materiali cartacei e chimici, le mascherature). Alla fine il tuo prodotto sembrerà la realtà, ma ne sarà solo un’interpretazione, forse anche molto lontana. A rigor di logica condivido questo ragionamento, ma voglio andare ancora oltre.
 
Ai tempi dei libri di Feininger (anni ’70) si facevano già molte ipotesi sulla realtà e non realtà, ma in seguito con ulteriori scoperte, soprattutto nella fisica subatomica, e ulteriori osservazioni di carattere filosofico molti autori (di campi diversi, inclusi gli psiconeurologi) sono giunti ad affermare che “cosa sia in realtà la realtà non lo sapremo mai”. Questa ulteriore affermazione deriva dal fatto che, in primo luogo, il mondo che sembra oggettivamente esistere, viene decodificato dai sensi per essere percepito da un essere umano. I sensi degli umani poi sono diversi da quelli di altri animali e quindi, già in questo senso, la realtà viene percepita in modo differente da diversi soggetti.
 
 Poi entrano in gioco innumerevoli altri fattori, come per esempio il punto di vista, le condizioni di luce e, tra gli altri, soprattutto lo stato di coscienza nel quale si trova il soggetto osservatore. Ma per non allontanarci troppo dal seminato prendiamo solo l’aspetto visibile della realtà, quello che può essere decodificato dall’occhio umano e quindi essere più o meno registrato in una fotografia.
 
 Anche in questo caso ci rendiamo conto di quanto sia limitato il nostro campo di visione. In un universo fatto di vibrazioni, quindi onde, che si propagano in tutte le direzioni, virtualmente con una lunghezza e frequenza di qualsiasi tipo, quello che noi vediamo è un settore ridicolmente stretto. Va, indicativamente nell’aria, da 360 a 760 nm (nanometri o Angstrom).
 
Altre frequenze possono essere udite, altre decodificate con apparecchi radio e via dicendo. Ciò che vediamo è una ristretta gamma. Questa è quella che la fotografia può registrare. In alcuni casi, con metodologie che registrano l’infrarosso, si può scendere di qualche lunghezza d’onda, e sebbene di poco, le immagini che ne derivano possono già presentare effetti molto diversi da quelle registrate con altre modalità. La fotografia inoltre, come procedimento tecnico, nasce in bianco e nero.
 
 I coloristi convinti hanno più volte sostenuto che una vera e buona fotografia di oggi sia a colori, motivando tale affermazione con la considerazione che il bianco e nero era una limitazione tecnica, poi superata, e la realtà e a colori. È un’affermazione che mi permetto di non condividere. La mia opinione (che è sempre e solo un’opinione) diversa è legata proprio all’argomento del presente scritto. Innanzitutto se parliamo di limitazione tecnica allora le foto corrette sarebbero solo quelle tridimensionali (che esistono già) e poi dovrebbero essere in movimento, visto che la realtà non è statica. 
 
Quindi una fotografia fedele dovrebbe essere un filmato tridimensionale, un ologramma semovente, una rappresentazione in realtà virtuale. Va da sé che, come sosteneva Feininger, la fotografia non può essere che una bugia, più semplicemente un’interpretazione. Ma non basta. Il mondo in bianco e nero non si presenta così agli esseri umani solo nelle fotografie, nei vecchi film e o nei film di Woody Allen e di altri autori, si presenta così, o quasi, anche di notte, quando la visione dell’occhio è assicurata più dai bastoncelli, maggiormente preposti alla visione al buio e in bianco e nero, che dai coni, preposti invece alla visione della luce e del colore.
 
Ne deriva, sempre a mio parere, che la visione in bianco e nero non è fasulla, bensì una dei tanti possibili modi di vedere (o interpretare il mondo). Tanto è vero che proprio le immagini in bianco e nero, soprattutto se stampate (in particolare con le tecniche analogiche), sono spesso indubitabilmente più ricche di fascino di quelle a colori. 
 
Nel caso del colore invece una stampa analogica sapiente o un sapiente utilizzo di Photoshop e una stampa digitale possono migliorare enormemente un buon negativo o un buon file, rendendo il risultato finale più piacevole proprio perché, anche se non esattamente fedele all’immagine “reale” ne esalta i punti di forza che possono creare emozione nell’osservatore.
 
A questo c’è da aggiungere che, laddove non esisteva Photoshop, sia nel colore che nel bianco e nero si utilizzavano (e in alcuni casi si utilizzano tuttora) i cosiddetti filtri creativi, per alterare o modificare quantità e qualità della luce che entra nell’obbiettivo. A questo proposito merita una menzione particolare il filtro Polaroid che, se oggi se ne ricorre di meno nel digitale poiché si lavora con Photoshop, in passato poteva essere anche molto utilizzato. 
 
Anche in questo caso alterazione e modificazione della luce sono un fatto, ma anche in questo caso del tutto relativo, visto che la luce polarizzata esiste già anche in natura e il filtro polaroid serve appunto per esaltare la luce già polarizzata del cielo, di superfici riflettenti, della luna o per esempio dei minerali. Unica differenza tra tutte queste forme di luce polarizzata in natura e il Polaroid è che in questo la luce è polarizzata assialmente, mentre nelle prime lo è circolarmente o ellitticamente.
 
Fritjof Capra nel suo fondamentale testo “Il Tao della fisica”, dove fondamentalmente cerca di trasmettere la sua intuizione sulla convergenza tra gli studi di fisica subatomica e filosofie orientali anche molto antiche, spiega come tutte queste dottrine dimostrino quanto la realtà fisica non sia altro che un’illusione. I fisici e i matematici del XX secolo, spiega Capra, rimasero viepiù sconcertati con il procedere delle loro ricerche, poiché la fisica della materia, più scendevano in profondità più era concepibile solo con formule matematiche e non con l’intuizione né con la ragione che usano parametri quotidiani troppo distanti dalla realtà dell’infinitamente piccolo. 
 
In ultima analisi la scienza ha dovuto abbandonare l’idea di cercare un mattone base della materia perché probabilmente non c’è. Nell’infinitamente piccolo materia ed energia si confondono e si scambiano le parti, per così dire, per cercare di aggrapparsi a un’idea intuitiva di ciò che può essere la realtà. Ovvero le cose che sembrano solide e le onde che si trasmettono nello spazio sono la stessa cosa. Ancora più sconcertante il fatto che le particelle/energia subatomiche sembrino talvolta crearsi autonomamente dal vuoto. Questa breve digressione solo per dire quanto sia soggettiva l’idea che ogni individuo possa farsi di una realtà che anche oggettivamente può avere diverse facce. 
 
Quindi osservare le cose e, per qualcuno, fotografarle, è un processo che può diventare molto profondo, che va molto al di là dell’impressionare una pellicola o creare un file. Liborio Termine nel suo libro (esaurito e ora in ristampa) sulla lettura fotografica, realizzato sulle immagini di Franco Fontana, spiega come il linguaggio della fotografia possa mostrare una realtà molto diversa da quella percepita dal vivo o descritta per esempio da uno scrittore.
 
Di recente ho intervistato diversi grandi fotografi, parlando di diversi argomenti e per quanto riguarda la domanda se c’è ancora qualcosa di nuovo da fare nella fotografia mi sono sembrati tutti abbastanza concordi nel ritenere che ciò che di nuovo si può ragionevolmente progettare di fare siano nuove interpretazioni. In particolare Maurizio Galimberti ha un approccio alla fotografia piuttosto singolare che dimostra come il mondo, o una scena o un ritratto qualsiasi, possa essere visto, grazie alla fotografia, in un modo totalmente diverso da come si presenta, diciamo così, in natura. 
 
La sua scomposizione dello spazio bi e tridimensionale, che lui sostiene derivare da una sua visione “musicale” dello stesso è una dimostrazione di come l’interpretazione possa produrre un’opera con una valenza interpretativa, estetica, artistica, documentaria ed emozionale insieme, e presentarsi come gradevole da fruire.
 
Franco Fontana, altro grande interprete, ci ha invece dato questo scritto, che pubblico integralmente. “La fotografia non è per me solo una professione, ma la mia realtà, quella realtà che più che vedere, mi ha fatto concepire. Qui racconto la storia della mia vita testimoniata dalla fotografia senza nessuna sfida perché è la mia esperienza e perché il compito della fotografia creativa non è quello di illustrare, ma di esprimere. 
 
Creatività in fotografia significa liberarsi del visto, rimuovere le memorie, anche se importanti, per rompere con la ripetitività e cercare di rinnovarsi testimoniando, fotografando più quello che si immagina che quello che si vede, rendendo così visibile l’invisibile perché nulla è come sembra, ma come si immagina. Bisogna intervenire sulla realtà e non solo guardare quello che vedi, ma capirlo, reinventarlo; ed è importante conoscere quello che sta dietro la macchina perché è quello che testimonierà ciò che le sta davanti.
 
Perché interpretare non è imitare e quello che fotografiamo non è quello che vediamo, ma quello che siamo e la felicità è poter esprimere un pensiero che è un atto di conoscenza che testimonia questo stato d’animo con l’immagine. Non basta avere uno stile riconosciuto ed esserne padrone, ma è necessario che lo stile sia padrone di ciò che si fotografa. A volte penso di non essere io a fotografare il paesaggio, ma che sia il paesaggio che si fotografa attraverso di me, così che ci sono sempre due verità: una oggettiva e una soggettiva e questo è il suo mistero.
 
 E perché il colore? Perché il colore è anche sensazione fisiologica, interpretazione psicologica emozionale, modo e mezzo di conoscenza ed è per questo fondamentale soprattutto nella fotografia e, come scriveva Paul Klee: "IL COLORE È IL LUOGO DOVE L’UNIVERSO E LA MENTE SI INCONTRANO. E se la vita è un gioco, questo è il più bel gioco della mia vita.”
 
Lo trovo poetico e profondo. Mi viene in mente il maestro indio Don Juan quando dice a Carlo Castañeda: “vedere è qualcosa di completamente diverso e più profondo del guardare. La fotografia (come l’espressione artistica in genere) può essere un processo enormemente profondo, anche catartico e sconvolgente. A questo punto la tecnica può diventare importante non come sostituto di contenuti che mancano, ma come strumento per riuscire a muoversi più agevolmente con le profondità di se stessi.
 
In ultima analisi, lasciando aperto il dibattito su cosa sia o non sia la realtà, dibattito che è appannaggio di comuni mortali e anche di artisti e di filosofi e mistici, sul piano fotografico è interessante tenere in considerazione il fatto che, come diceva provocatoriamente Feininger, le foto sono delle bugie, o meglio, come dimostrato da grandi interpreti sono visioni del tutto personali di una realtà sì, difficile da indagare e definire, ma che è possibile trasmettere, con infinite modalità sul piano dell’estetica e dell’emozione. Perché esistono infinite realtà, per questo la vita rimane un mistero insondabile, che vale la pena interpretare, “ognuno a suo modo”.
 
Fonte: Link

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