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domenica 29 maggio 2011

LA MIA STORIA-DI JHOLS ossia Maurizio Cavallo (II Parte)

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Mentre una mole spaventosa d'informazioni affluiva alla mia mente con rapidità allucinante sgomentandomi ulteriormente, a pochi metri dall'ordigno vidi delle figure muoversi. Una di esse mi venne incontro, e finalmente, illuminato in volto dai lampi bluastri che guizzavano intorno al velivolo, potei vedere uno dei miei rapitori stagliarsi chiaramente. Aveva fattezze umane e pareva scivolasse piuttosto che camminare. Alto, di corporatura atletica, portava in viso i tratti somatici dell'indio preincaico - tale fu l'impressione che mi suggerì il pensiero facendosi strada tra l'angoscia e la forte emozione. Ad alcuni passi da me, alzò il suo braccio destro, gesto che io ansiosamente interpretai come un saluto, e di nuovo la voce penetrò nella mia mente senza che alcun suono passasse per le mie orecchie: " Non temere, non ti accadrà nulla ", mi disse Chama.



In quel momento seppi che dovevo seguirlo e ci avviammo verso le insolite costruzioni. Solo allora mi accorsi che non esistevano zone d'ombra: tutto era luminoso come se la luce sgorgasse dalle strutture stesse, da ogni elemento architettonico anche da quelli che per la posizione occupata non avrebbero potuto ovviamente essere illuminati. Camminavamo affiancati lungo una struttura trasparente, un ampio tunnel di cristallo che si snodava dritto tra le costruzioni separandoci da esse. Per un momento alzai lo sguardo, forse speravo di scorgere il cielo ma non lo vidi. Qualsiasi cosa ci fosse oltre, al disopra ed intorno, era celata da una fitta vegetazione. Inusitate piante, alberi dal fusto alto e contorto, felci enormi di colore viola pallido spruzzate di giallo sabbia svettavano infittendosi in una compatta ed assurda macchia cromatica. Ricordo che pensai, chissà per quale parallelo, alla vegetazione lussureggiante che dovette coprire il nostro mondo milioni di anni fa. La luce che avvolgeva il luogo non trovava paragoni, se non quello di un tramonto ai tropici dopo una giornata torrida. Mi accorsi che ogni fibra del mio corpo era in spasmodica tensione; tentavo per quanto possibile di analizzare lucidamente quanto mi stava accadendo. Più volte dubitai che tutto ciò fosse realtà, e altrettante fui schiacciato dalla umiliante consapevolezza dell'evidenza. Tutt'intorno sempre e solo il silenzio inanimato. Neppure i nostri passi creavano echi o fruscii di sorta. Quando fummo dinanzi all'enorme edificio a forma di conchiglia rovesciata, Chama mi precedette e mi fece segno di seguirlo. Dovette senz'altro percepire la mia riluttanza, l'indecisione e la diffidenza mossa dall'istinto di conservazione, poiché fece eco nel mio cervello la sua voce: " Non temere! Non hai nulla da temere." Sentivo le tempie pulsare mentre mi appariva drammaticamente chiara la situazione: forse sarei uscito da quell'incubo, avrei fatto ritorno a casa solo se chi mi aveva rapito lo avesse voluto. Mi sentivo stanco. Con lentezza mossi alcuni passi all'interno. Se avessi pensato che nulla ormai avrebbe più potuto stupirmi, avrei sbagliato. Qualcosa che sembrava fregi a sbalzo e bassorilievi copriva a intervalli regolari il soffitto ad arco e i lati superiori del nuovo corridoio dalle pareti convesse e levigate, traslucide come l'acciaio. Toccandone istintivamente la superficie, avvertii una leggera scossa elettrica, e le dita scivolarono come respinte da una misteriosa energia. Disorientato e sbalordito non mi resi conto che il corridoio, giunto alla fine, dava su un immenso salone circolare completamene avvolto in soffice luce blu. Tutt'intorno ai lati e al centro, collegate tra loro da cilindri di varia grandezza, si ergevano strutture apparentemente metalliche di un grigio antracite, simili nella forma a torri acchiocciolate. Vi erano pure - sospese a qualche metro dal pavimento - sfere trasparenti come il vetro nel cui interno erano racchiusi vapori rosati. ...Quasi non mi ero accorto della loro presenza. Erano immobili e mi guardavano con occhi penetranti. Vestivano lunghe tuniche diversamente colorate. Avevano pelle chiara e lunghi capelli bianchi fluenti incorniciavano i volti di un'età indefinibile. Mi indussero a guardare verso un monolito piramidale torreggiante al centro di un largo tavolo rettangolare, anch'esso in apparenza metallico. Mi parlarono invadendo la mia mente con immagini e suoni: la mia vita passata scorreva velocissimamente. La mia infanzia, i miei ricordi riportati alla luce e resuscitati nella memoria. Seppi così di trovarmi in una delle loro basi sotterranee sul nostro pianeta, posta nel cuore dell'Amazzonia. Appresi che ci osservano da lungo tempo e che conoscono la storia dell'umanità fin dagli albori. Mi dissero di essere i " Guardiani del Mondo ", e di appartenere a una confederazione intergalattica che unisce popoli e razze stellari diverse. Abitanti di Alpha Centauri, Orione, Zetar Reticuli e delle Pleiadi sono sul nostro pianeta. Alcuni di essi sono i " Creatori ", coloro che innestarono il codice genetico primordiale e che, modificando le strutture biologiche primitive dell'organismo vivente chiamato uomo, diedero origine all'evoluzione della specie e alle razze attuali. Più volte avevo mentalmente formulato il desiderio di comprendere perché ero stato "rapito ". E a quale scopo poi mi venivano fatte quelle rivelazioni? Capivo che la scelta non poteva essere casuale: conoscevano la mia vita, mi seguivano fin dall'infanzia e forse in qualche modo mi avevano preparato a quell'evento. Ma perché io e non un altro? Sapevo che leggevano nei miei pensieri, però la risposta a quell'interrogativo non giunse mai. Ancora oggi l'ignoro. Forse fu un fruscio leggero a farmi voltare. Incontrai lo sguardo di Chama e mi parve di coglierne una insospettata dolcezza. Era rimasto alle mie spalle per tutto il tempo ed al suo fianco ravvisavo ora una creatura la cui bellezza può essere definita solo tacendo, poiché ogni tentativo ne deturperebbe il ricordo: " Dhara ". Il suo nome mi giunse sull'onda di un'eco profonda. Gli occhi di un indefinibile azzurro dal taglio vagamente orientale e felino. I capelli ramati raccolti in parte da una singolare acconciatura e in parte sciolti sulla sinistra del viso. Indossava un abito blu scuro di foggia vagamente medioevale e di uno strano tessuto simile in apparenza alla seta o al raso, lungo fino a coprirle completamente i piedi. Sorrise. Intanto le dieci-dodici figure con lunghi capelli candidi, da cui avevo appreso conoscenze strabilianti, erano scomparse. Intuivo che qualsiasi cosa fosse stato quello che era avvenuto e ancora avveniva, ora stava per terminare. Nel silenzio assoluto seguii Chama e Dhara che mi precedevano di qualche passo. Attraversammo il salone fiancheggiando le strutture metalliche, e ripiegando sulla sinistra, sfiorammo quasi le sfere sospese che ondeggiando provocavano leggeri trilli. Imboccammo un altro corridoio più stretto e più basso dei precedenti. Le pareti apparivano dello stesso materiale simile all'acciaio ma concave ai lati e cosparse di fori ovali simili ad oblò. In breve concludemmo il tragitto davanti a una specie di largo pannello in movimento. Pareva che infinite lingue di fuoco lo attraversassero intersecandosi a vicenda e producendo miriadi di scintille violacee. Chama con Dhara - che, in un successivo incontro, scoprirò essere una biologa astrale - facendosi da parte m'indussero sempre mentalmente a varcarlo. L'angoscia mi riprese e mi strinse alla gola. Chiusi gli occhi ed andai oltre. Cosa avvenne dopo non saprei dirlo poiché non ne ho ricordo. Rammento mille punture d'aghi per tutto il corpo e una sensazione di completo torpore mentre precipitavo in un tunnel senza fine tra una pletora di colori saettanti. Mi ritrovai disteso sull'erba umida di un prato. Il sole era alto nel cielo mentre una sottile brezza mi portava i rumori lontani della città... Questa è la mia storia non ancora giunta al suo epilogo poiché continuo ancora a incontrare i visitatori, ad apprendere da loro i significati occulti della vita e a stupirmi di fronte ai misteri dell'universo. I rapitori di una notte, che mi liberarono per sempre dalla schiavitù delle apparenze, tornano a volte a parlarmi di mondi remoti, preoccupati per le sorti del nostro pianeta in attesa che l'uomo si risvegli e guardi al Cosmo come alla sua casa lontana dove il proprio seme un tempo fu generato. Sono passati 30 anni da quella notte del 1981. Forse l'uomo non scoprirà mai la propria origine, non svelerà i segreti della vita e della morte. Forse non comprenderà mai i segreti dell'universo. Forse tra un secolo, tra due o tra mille anni un evento inaspettato, improvviso, cancellerà la memoria umana. Forse, come già accadde per le civiltà che precedettero la nostra, anche l'attuale perderà la propria identità storica e la propria cultura disperdendone i sogni, le speranze e la conoscenza in infinitesimali frammenti inintelligibili. Forse tra un secolo o mille anni, un'altra specie biologica si muoverà tra le rovine dell'attuale civiltà, forse gli stessi sconvolti sopravvissuti si aggireranno tra i misteri del passato cercando di ricostruire la propria identità. Nelle incognite della vita e della morte, del prima e del dopo, essi cercheranno l'origine dell'esistenza ponendosi le domande di sempre, creando nuove forme di culto e inventandosi tipologie nuove di spiritualità; susciteranno nuovi Dei e nuove filosofie per spiegare la loro presenza su questo mondo. Forse è la storia che si ripete in un folle ritorno senza fine, fino a quando l'intero Universo cesserà di esistere, fino a quando l'ultimo granello cosmico o l'ultimo sole si consumeranno nel silenzio di una lenta agonia siderale. Forse non sapremo mai chi siamo stati prima, o non saremo più dopo. Forse siamo frammenti di un sogno che cesseranno di esistere allorquando l'"Archetipo Occulto" si sveglierà; forse tra cento - mille - un milione di anni, infrante le barriere dello spazio/tempo, penetreremo nei territori oscuri dell'assoluto là dove hanno inizio i sogni e le galassie, e lì, perdendo noi stessi, si dissolveranno i dubbi e le paure, le domande e i mille perché che così a lungo avevano angosciato e ferito il cuore e la mente degli uomini. Forse nell'immobilità cosmica risaliremo alla nostra origine, sapremo di essere figli delle stelle o schegge di follia, meteore erranti dell'infinito. Forse riusciremo a comprendere il nostro destino, le ragioni dell'esistere... Comunque sia l'epilogo - se mai ci sarà - comprenderemo che la bellezza della vita risiede nelle ali del mistero e il fascino della morte nel cuore della sua incorruttibilità.

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