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domenica 27 gennaio 2013

LA FIABA E LA PSICOLOGIA ANALITICA DI JUNG



Fratelli Grimm consideravano le fiabe resti di antichi miti, sopravvissuti nella memoria popolare e tramandati dalla tradizione orale; scrive Jacob all’amico Achim von Arnim nel 1812: “sono fermamente convinto che tutte le fiabe della nostra raccolta, con tutte le loro particolarità, venivano narrate già millenni fa … in questo senso tutte le fiabe si sono codificate come sono da lunghissimo tempo, mentre si spostano di qua e di là in infinite variazioni … tali variazioni sono come i molteplici dialetti di una lingua e come quelli non devono subire forzature”.
Così come i Grimm, anche Jung, seppur da altri punti di vista, era affascinato ed interessato al mondo delle fiabe. Egli sosteneva che esse fossero l’espressione più genuina e pura dei processi dell’inconscio collettivo, ossia di quella sorta di deposito collettivo, sviluppatosi in base ad una predisposizione comune a tutta l’umanità ad organizzare in maniera simile le esperienze che si ripetono attraverso le generazioni. Predisposizioni mentali ed esperienze comuni transgenerazionali sono l’elemento di base per la formazione di quelle configurazioni particolari, contenute nell’inconscio collettivo, che costituiscono sedimentazioni psichiche stabili di esperienze ripetute frequentemente per molte generazioni. Queste configurazioni sono dotate di struttura universale e di valenza affettiva e sono da Jung definite “archetipi“.
In “L’uomo e i suoi simboli” si legge: “l’archetipo è la tendenza a formare singole rappresentazioni di uno stesso motivo che, pur nelle loro variazioni individuali anche sensibili, continuano a derivare dallo stesso motivo fondamentale … la loro origine è ignota e si riproducono in ogni tempo e in qualunque parte del mondo, anche laddove bisogna escludere qualsiasi fattore di trasmissione ereditaria diretta o per incrocio”.



Se consideriamo dunque le definizioni dell’inconscio collettivo e degli archetipi, ci viene indubbiamente facile comprendere perché Jung si sia, in qualche modo, interessato al mondo della fiaba. La fiaba è prodotto della fantasia e dell’ingegno umanoincarna ed esprime sentimenti, emozioni, aspirazioni, speranze comuni a tutta l’umanità. Non esiste praticamente popolo che, accanto alla sua mitologia, non abbia le sue fiabe. In tutte si riscontra una singolare analogia di temi, motivi, costanti e topoi, spesso indipendentemente da reciproci contatti, influssi e contaminazioni, pur nelle varianti e negli adattamenti nazionali, regionali e locali. Della storia di Cappuccetto Rosso esistono almeno 40 versioni presso diversi popoli e culture; della trama di Cenerentola, esempio tipico di trasversalità della fiaba, si trovano addirittura 345 versioni, in Europa, in Asia e in Africa. Muta soltanto il nome della protagonista (Cendrillon in Francia, Aschenputtel in Germania, Askungen in Svezia, Ashiepattle in Scozia, Guidskoen – “scarpetta d’oro” – in Danimarca).
Nelle fiabe orientali è chiamata per nome, o presentata semplicemente come “la principessa”. Presso le tribù algonchine del nord America è soprannominata “visino corrugato”.
La circolarità dei medesimi motivi non può che avvalorare, dunque, la tesi per cui la fiaba rappresenta un prodotto dell’anima universale comune a tutti i popoli. Le fiabe, per Jung, riflettono e svelano i processi dell’inconscio collettivo, poiché, attraverso il ripetersi (in spazi e tempi distanti e differenti) degli stessi temi e motivi, svelano l’emergere dell’archetipo nella propria struttura. Oltre a ciò, a differenza del mito, la fiaba è scarsamente rivestita di materiale culturale e dunque rappresenta gli archetipi nella loro forma più pura, riflettendo così molto più limpidamente i modelli fondamentali della psiche. Attraverso la via dell’immaginario, la fiaba accomuna e avvicina civiltà e culture lontanissime, dimostrando come nell’intimo di ciascun uomo alberghino i medesimi pensieri, speranze, bisogni, aspirazioni.
La Von Franz sottolinea come tutte le fiabe mirino alla descrizione di un unico evento psichico, estremamente complesso seppur identico, che Jung definisce il Sé. Esso costituisce la totalità psichica dell’individuo, ma anche il centro regolatore dell’inconscio collettivo. Ogni uomo e ogni popolo vive in modo diverso questa realtà psichica, e le fiabe, essendo l’espressione più semplice dell’inconscio collettivo, possono offrire un’immagine delle diverse fasi di tale esperienza. Il raggiungimento del Sé può essere descritto, nelle fiabe, in modi estremamente diversi ed essere attuato e vissuto da personaggi protagonisti ugualmente distinti.
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