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mercoledì 25 gennaio 2012

Rapporto definitivo sulla nostra prima esplorazione della nuova sezione dei Tunnel di Ravne nel Dicembre 2010





Introduzione - Molti studiosi sanno che celebri geologi e archeologi hanno messo in dubbio l’artificialità delle Piramidi della Valle di Visoko e addirittura anche la presenza di una civiltà anticamente presente in questi luoghi e soprattutto di un livello tecnologicamente elevato.
Ma, man mano che si procede negli scavi, viene sempre più alla luce la presenza di un enorme labirinto sotterraneo antichissimo sempre più elaborato e sofisticato. 

Così dopo le ultime notizie giunteci telefonicamente dai tunnel di Ravne abbiamo organizzato molto rapidamente una nuova spedizione scientifica congiunta tra elementi dell’Università degli Studi di Trieste e del Politecnico di Milano in collaborazione con la Fondazione Bosniaca della Piramide del Sole che cura gli scavi. SB Research Group - 12 dicembre 2010


Abbiamo esaminato le nuove sezioni appena scoperte del Labirinto di Ravne

I cosiddetti tunnel di Ravne si trovano a circa tre chilometri dalla Piramide del Sole, alla cui base è sorta successivamente l’odierna città di Visoko, ex capitale dell’antico Regno di Bosnia.


Da sempre abbiamo considerato questa struttura, e proprio di struttura stiamo parlando e non solo di semplici tunnel scavati nella roccia, come le griglie del condizionatore che alimentava d’aria pulita, rigenerata e fresca la struttura sotterranea che si trova ad Ovest della Piramide del Sole.

Una struttura interamente costruita in calcestruzzo antico e poi ricoperta di quasi 20 metri di terra, disposta come le spirali presenti all’interno di in una moderna apparecchiatura fatta per rigenerare l’aria, costituita da un complesso sali-scendi di tunnel e creata allo scopo di determinare la disponibilità di un flusso continuo d’aria che anche avvolgesse i monoliti presenti nella struttura stessa.

Abbiamo studiato a lungo gli ambienti intorno ai monoliti.
Questi monoliti, la cui potenza taumaturgica stiamo ancora analizzando (forse stimolatori della produzione di endorfine attraverso complessi campi magnetici o energetici), come un ozonizzatore presente all’interno di un condizionatore, erano un valore aggiunto dal sapore curativo al flusso d’aria che giungeva dall’esterno all’interno della struttura sotterranea.

Sappiamo che ad un certo punto deve essere successo qualcosa e la civiltà che ha costruito i tunnel di Ravne o forse una successiva civiltà che ne faceva uso, probabilmente per difendersi da un pericolo esterno o per confinare un pericolo all’interno, ha deciso di sigillare gli stessi tunnel con della terra per una cospicua lunghezza.

Nel primo caso ipotizzabile di necessità della sigillatura dei tunnel, ossia di pericolo esterno, questa civiltà ha agito più o meno come faremmo noi al sopraggiungere di un tornado. Perché sicuramente bloccheremmo le persiane della nostra casa con delle assi e dei chiodi per evitare che il potente getto d’aria e d’acqua penetri all’interno dell’abitazione facendo sollevare l’intero tetto e distruggendo totalmente l’edificio.

Un tunnel ancora sigillato con terra, ma a quale è stato rimosso il muretto di pietre a secco che ne chiudeva l’estremità

Nel secondo caso, ossia di pericolo interno, e questa è anche la nostra ipotesi, qualcosa è sfuggito di mano o è esito di un conflitto bellico e allora la terra utilizzata per sigillare parte dei tunnel ha evitato la contaminazione del mondo esterno.

Due tunnel ormai desigillati che si dipartono a “Y”.

Così agirono i costruttori del labirinto di Ravne, che sicuramente pensarono che la terra con la quale furono sigillati i tunnel, al passato pericolo, poteva essere rimossa facilmente, così come era stata posta, ristabilendo la continuità della loro struttura e senza comprometterne gravemente la sua elaborata funzionalità.

Ma qualcosa di imprevisto è successo e la continuità non è stata più ristabilita e sono occorsi tre anni agli operai della Fondazione Bosniaca della Piramide del Sole, che cura gli scavi sin dall’inizio delle scoperte nella Valle di Visoko, per liberare solo in parte questa struttura dalla terra con cui fu riempita migliaia di anni fa.

Infatti, dopo circa 350 metri dall’attuale entrata principale dei tunnel (ne esistono di accessorie), si è giunti finalmente ad una porzione non più chiusa dalla terra da circa una settimana (siamo a Dicembre 2010) e così prima o poi doveva essere, perché ovviamente questa barriera non poteva riempire tutta la struttura per l’intera lunghezza e necessariamente si sarebbe giunti ad una porzione non più sigillata.

Come ho detto prima, questo momento è giunto ed è caduto all’improvviso l’ultimo diaframma.

Il capo operaio e artefice della scoperta, Amir Suša, a cavalcioni del diaframma da poco abbattuto e che ha aperto la sezione desigillata.

Pertanto queste nuove sezioni dei tunnel appaiono quasi totalmente libere nel loro volume, tranne qualche apparente collassamento nel loro contesto, ovviamente determinato dall’assenza di terra che poteva sostenere le volte.

Sbirciando oltre l’ultimo diaframma ecco quello che si vede: l’ingresso ad un mondo sconosciuto.

Accucciandoci all’ingresso alla nuova sezione del tunnel si vede perfettamente la galleria, bassa circa 120 cm e con acqua limpidissima sul fondo.

Quindi paradossalmente i tratti che sono stati sigillati, una volta liberati, sono meglio conservati di quelli liberi, mentre i tratti non sigillati in alcuni punti presentano dei mucchi di terra.

Questa è l’interpretazione più accettata per ora. Ma secondo noi i mucchi di terra non provengono dalle volte che appaiono integre, ma sembrano gettati lì di proposito in un primo tentativo di sigillare i tunnel, ma senza successo perché questi mucchi non hanno raggiunto la volta. Tentativo riuscito più verso l’uscita con la totale sigillatura del lume dei tunnel.

Ma fino ad ora per questi ultimi tratti non si è ancora trovato un vero termine e la lunghezza smisurata sembra promettere altrettanta superficie da esplorare, alla ricerca delle vestigia della Civiltà di Visoko.

Se si prosegue avanti si arriva al primo bivio a “Y”.

Dal punto di vista archeologico questa scoperta risulta estremamente importante poiché permette di analizzare con cura la struttura originaria dei tunnel.
Dopo alcuni brevi incursioni esplorative nei tratti appena scoperti, abbiamo deciso di svolgere una indagine più accurata ed estesa sull’antica struttura nelle gallerie appena scoperte.
Questo articolo è pertanto il diario preliminare di questa ricerca che ci ha decisamente coinvolto e per più versi non è stata scevra da un’elevata dose di pericolosità. Ma il camminare laddove da migliaia di anni nessuno era mai più passato ha avuto per noi il fascino proibito di aprire ed entrare in un Vaso di Pandora.

Già, aprire un Vaso di Pandora, e questa è la frase che sintetizza di più la nostra esperienza. Ma dal Vaso regalato da Giove a Pandora non si sa cosa possa uscire. Forse per noi è come la prima volta che Pandora, contravvenendo alla volontà di Giove, aprì il Vaso facendo uscire tutti i mali dell’Umanità, oppure la seconda volta quando ne uscì la Speranza?

Per il momento non siamo ancora riusciti a capirlo.

La spedizione scientifica multidisciplinare abilitata a questo studio, si è composta in questa occasione di cinque elementi, Amir Suša, capo operaio direttore dei lavori di scavo, la dott.ssa Sara Acconci, archeologa, coordinatrice e responsabile degli scavi per conto della Fondazione Bosniaca della Piramide del Sole, il prof. Paolo Debertolis, antropologo (Università di Trieste), la dott.ssa Valeria Hocza, assistente scientifico, la prof.ssa Lucia Krasovec Lucas (Università di Milano), architetto.

Parte della spedizione scientifica all’esterno dell’entrata del labirinto di Ravne. Da sinistra: il prof. Debertolis, la dott.ssa Hocza, la dott.ssa Acconci.

Secondo gli studi svolti dalla prof.ssa Krasovec Lucas la struttura e la forma dei cunicoli, per come si sono palesati sino ad ora, rimandano alle suggestive architetture di A. Gaudì, specialmente per quanto riguarda le realizzazioni nel sottotetto delle case Batlò e Milà a Barcellona.
L’architettura della struttura può richiamare in qualche modo le teorie del Feng Shui, letteralmente vento e acqua, attraverso l’utilizzo del materiale di costruzione, la dislocazione delle pietre monumentali e l’andamento delle direttrici dei cunicoli.
I tunnels di Ravne finora scoperti sono realizzati utilizzando archi paraboloidi e, al posto di pietra o mattoni, sono costruiti con una miscela di “calcestruzzo” particolare che difficilmente potrebbe venir considerata una “formazione naturale”, anche per la serialità dei cunicoli che vanno chiaramente a formare una specie di rete sotterranea.

La prof. Krasovec Lucas (al centro) durante lo studio della struttura e la mappatura dei tunnel di Ravne.

Questa rete, nella configurazione resa ipotizzabile da quanto emerge dagli scavi, sembra avere un andamento circolare e seriale, dove la comunicazione tra i tunnels non viene mai interrotta, per cui si potrebbe pensare ad una situazione strutturale a forma di alveare o meglio a quella degli alveoli polmonari. In questo senso, viene spontaneo pensare anche alla Rete di Hartmann dove i muri “a secco” in corrispondenza delle biforcazioni dei cunicoli appaiono, in questa fase di ricerca, simili ai Nodi del reticolo elettromagnetico individuati sui punti di incrocio della griglia di Hartmann.

Ma questo sarà argomento di un prossimo lavoro scientifico svolto direttamente dalla Prof.ssa Krasovec Lucas, chiamata a compilare una nuova mappa strutturale dei tunnel di Ravne.

La bozza della nuova mappa elaborata dalla prof.ssa Krasovec Lucas, in basso a destra è sintetizzata dal disegno della struttura alveolare dei tunnel che va sovrapposto alle porzioni aperte e che fornisce una preziosa chiave di lettura.

La sezione appena aperta rappresenta la via di accesso finalmente libera all’intero sistema alveolare e abbiamo deciso di iniziare ad esplorarla.

Bisogna anche dire che la nuova sezione appena scoperta ha una volta molto bassa e non si riesce a rimanere in piedi; è ripiena d’acqua per un’altezza che va dai 10-20 cm a circa mezzo metro. Per la quasi totalità del percorso bisogna procedere a quattro zampe o con le ginocchia piegate.

Non appare intenzionale la presenza d’acqua, ma sembra causata dalla mancanza di drenaggio determinata dalla terra che ostruisce il fondo della galleria.
L’intenzione futura è quella di rimuovere l’acqua, in modo da poter entrare con l’attrezzatura archeologica per effettuare rilievi di tutta l’area. Parte del lavoro di ricognizione (volto ad ottenere una prima mappatura parziale dei nuovi tunnel) verrà effettuato a febbraio dalla dott.ssa Acconci, con il fondamentale contributo degli speleologi.

Ma in questa occasione ci siamo suddivisi in due gruppi. Uno di supporto, la dott.ssa Hocza e la prof.ssa Krasovec Lucas e un gruppo di vera e propria esplorazione e documentazione fotografica, il sig. Susa, la dott.ssa Acconci ed il prof. Debertolis.

Il sig. Suša si sta preparando alla nuova esplorazione nello spazio ristretto.

Il prof. Debertolis in primo piano, prima di entrare ha misurato la radioattività presente che è risultata nella norma, più indietro l’archeologa dott.ssa Acconci

Il gruppo di supporto: in primo piano la dott.ssa Hocza, più indietro la prof.ssa Krasovec Lucas.

Il gruppo d’esplorazione era dotato di stivali alla pescatora in gomma, peraltro rivelatisi assolutamente insufficienti, casco con lampada, lampade portatili e macchine fotografiche resistenti all’acqua.

Alcuni giorni prima alcuni sommozzatori avevano analizzato parte del percorso per accertarsi che non ci fossero pozzi, ma senza eseguire alcuna documentazione, né procedere ad un’analisi scientifica. La nostra è stata la prima analisi scientifica che ha cercato di svelare parte dei segreti.

Bisogna dire che tutto il percorso è ripieno d’acqua e non ci si trova quasi mai in tratti all’asciutto se non in corrispondenza di piccoli tratti che protrudono dal fondo della galleria, costituiti da terra di riporto. Ma danno un certo sollievo perché ci si ritrova all’asciutto e permettono di riposare un momento. Superarli diventa poi complicato perché richiedono di strisciare giungendo circa a 60 cm dalla volta. Questo ci ha fatto capire che per una simile esplorazione l’attrezzatura più adatta è la muta da sub.
 
Il procedere nel tunnel dà una sensazione assolutamente claustrofobica.

Dall’apertura che dà l’accesso ai tunnel si deve procedere a quattro zampe per riuscire a superare un tratto con una volta molto bassa di circa 120 cm con circa 20 cm d’acqua e alla fine questa finisce con l’essere la posizione, si fa per dire, più comoda per proseguire.
Camminare con le ginocchia piegate in una posizione quasi seduta sui talloni, invece, se è una buona posizione per non bagnarsi, stanca eccessivamente anche solo dopo qualche decina di metri.

All’ingresso del tunnel un muro di pietre di contenimento sulla destra ben strutturato sul quale i sommozzatori avevano segnato con la matita un riferimento per ritrovare l’uscita e che ha fatto ben arrabbiare l’archeologa del nostro team per la contaminazione dell’ambiente chiuso da migliaia d’anni (oltre ad un pacchetto di sigarette vuoto abbandonato nell’acqua poco più avanti). Ma si può quasi scusarli trattandosi di una cavità totalmente al buio e la necessità di un segnale per l’uscita.

Il muretto di contenimento della parete, questa volta cementato, segnato al centro con la matita dai sommozzatori.

Successivamente il tunnel si divide a “Y” e il ramo di destra si suddivide in un’ulteriore “Y” secondo la logica già spiegata della struttura ad alveare.
Il ramo a sinistra è il più claustrofobico.

Il ramo di sinistra (quello che si dirige a sud-est) porta ad un fondo cieco dopo circa una cinquantina di metri (vissuti a carponi), il destro (quello che procede invece verso sud-ovest) porta ad un altro tunnel che appare libero, ma che non abbiamo potuto esplorare nella sua totalità vista la lunghezza e l’altezza dell’acqua ben superiore, ma che ad un certo punto presenta pareti costituite da pietre poste in bell’ordine.

Il ramo a destra è il più ben composto con ampi muri di sostegno alle volte.

Dopo aver cozzato più volte con il casco sulla volta ci siamo resi conto che il conglomerato era molto più fragile di quello delle porzioni sigillate con la terra. Bastava battere solo leggermente il capo sul tetto della volta per procurare piccoli crolli.

L’impressione nelle porzioni le cui pareti apparivano delimitati da muri ben ordinati è che si trattasse ancora di tunnel di servizio, ma questa volta senza limiti di sorta.

Abbiamo osservato alcuni interessanti fenomeni.

Quello che ci ha colpito di più è la presenza di strane nebbie molto concentrate biancastre o bianco-bluastre che si materializzavano a momenti nel tunnel per poi scomparire repentinamente o muovendosi abbastanza repentinamente fino ad allontanarsi, probabilmente mossi da flussi d’aria altrettanto repentini; anche se questa interpretazione appare discutibile in quanto si muovevano anche in senso contrario, cambiando spesso traiettoria.

Una SBI, simile ad un vortice, che ci sembrava osservare all’interno del tunnel di sinistra.

D’altra parte se si fosse trattato di gas rimasto intrappolato nella galleria si sarebbe disperso al nostro passaggio, mentre rimaneva al contrario concentrato muovendosi intorno a noi. Pertanto tale fenomeno rimane per ora inspiegabile.

Ancora la stessa SBI che è rimasta ferma circa un minuto..

Ciò a momenti ha reso quasi impossibile l’esecuzione di fotografie perché a volte schermavano il lampo del flash impedendo una corretta esecuzione dell’immagine, in quanto si ponevano tra noi e il soggetto della nostra foto.
Questo tipo di nebbie si sono poi diffuse in maniera modesta anche nel resto dei tunnel già aperti creando buffi fenomeni di materializzazione e smaterializzazione tali perfino da allarmare il gruppo di supporto che non credeva ai propri occhi. D’altra parte questi fenomeni non si sono mai verificati in precedenza nelle altre sezioni del tunnel prima dell’apertura della nuova sezione.

Un SBI che ruota intorno al gruppo di supporto.

Potrebbe essere utile la visione del video raccolto di uno di questi curiosi fenomeni dal nostro gruppo di supporto ( qui:http://www.youtube.com/watch?hl=en&v=i-9Z5IWYe6o&gl=US)


Ma, sapete, non sempre un fenomeno sconosciuto deve per forza allarmare. La mia preoccupazione, come medico e che non si trattasse di nebbie tossiche frutto di fermentazione di prodotti organici, ma in definitiva non è parsa questa la loro origine. L’acqua sul fondo del tunnel appariva limpida e in nessun caso vi era torbidità, se non dopo il nostro passaggio che smuoveva la sabbia dal fondo.

L’ambiente era praticamente ad entropia zero con l’acqua della stesa temperatura dell’aria e dell’ambiente circostante. La temperatura di questo sistema era circa di 12-14 °C.


Un SBI che viaggia su fondo di una vecchia sezione del tunnel.

Ne abbiamo fotografato uno che è rimasto immobile per quasi un minuto, ma almeno apparentemente, per ora non abbiamo rivelato pericolosità in essi. Con senso del humor tipicamente balcanico abbiamo deciso di chiamarle “SBI” (Šau-Bau Identity).

Un'altra curiosa annotazione che va rilevata dalla nostra esplorazione è la presenza di forti incisioni all’interno di uno strato sabbioso rilevato in corrispondenza della parete del tunnel di sinistra.
Come visibile dalle immagini allegate sembra che con un attrezzo metallico dotato di tre punte siano stati approfonditi dei solchi sullo strato sabbioso di una parete del tunnel di destra costituita più avanti da pietre rotonde. Sembravano come i segni di una mano che fosse stata dotata solo di tre unghie o avesse deciso di usare solo tre dita. Questo perchè la distanza tra i solchi appariva incostante.
Le incisioni, simili a graffi, presenti sulla superficie sabbiosa del tunnel di centro.

In questi frangenti bisogna mantenere i piedi per terra e non si può farsi prendere dalla suggestione.

Rimane comunque il fatto che qualcuno ha inciso in più punti quella superficie, tentando in un punto addirittura di scavarci dentro, come un carcerato incide le pareti della sua cella durante una lunga detenzione.

Ancora altri graffi che sembrano aver tentato di scavare un buco nella parete dalla consistenza molto plastica.

Ciò dimostra che una presenza c’è stata in quel luogo ed ha voluto, ma chissà quanti anni fa, lasciarci qualcosa. Ma chissà quale tragedia si nasconde dietro quei segni silenziosi. Qualcuno rimasto sigillato all’interno dei tunnel? Per ora non abbiamo trovato i suoi resti.

Al termine di questo elaborato scientifico vorremmo comunicare che abbiamo deciso di formare un nuovo gruppo di ricerca per studiare meglio i fenomeni e le strutture incontrate, costituito da scienziati dalla mente aperta anche se tutti provenienti dall’Università, che collabori costantemente con la Fondazione che porta avanti gli scavi nella Valle Bosniaca delle Piramidi.

Abbiamo deciso di denominarlo “SB Research Group”, dal nome della buffa entità incontrata nella nostra esplorazione e questo è il primo lavoro che pubblichiamo assieme.

Le fotografie tutte prodotte dai diversi membri del gruppo portano per la prima volta il nuovo logo del "SB Research Group", che è stato disegnato esclusivamente per questo progetto di ricerca.
Paolo Debertolis, Sara Acconci, Lucia Krasovec Lucas, Valeria Hocza
SB Research Group - 12 dicembre 2010



Bibliografia


1) P. Debertolis, V.M. Hocza: "Rapporto di Novembre 2010 sui Tunnel di Ravne - Approccio preliminare di studio", SBRG, 4 novembre 2010
2) P. Debertolis, V.M. Hocza: "Rapporto di Novembre 2010 sui Tunnel di Ravne - Teorie sui manufatti e le strutture", SBRG, 16 novembre 2010
3) P. Debertolis, V.M. Hocza: "Rapporto di Novembre 2010 sui Tunnel di Ravne - Le misurazioni iniziali", SBRG, 20 novembre 2010



Continuano gli esperimenti sul suono ed
il fenomeno della risonanza nei tunnel di Ravne
Tra le numerose misurazioni effettuate in questa settimana  del gennaio 2012 sui fenomeni elettromagnetici e l’emissione di ultrasuoni nei tunnel di Ravne, l’esperimento più affascinante e suggestivo è stato senza dubbio quello sul fenomeno della “risonanza” presente ancora nelle sezioni dei tunnel in cui i lavori di scavo o la messa in sicurezza non ne ha modificato pesantemente la struttura originale.

L’esperimento effettuato aveva lo scopo di scoprire a che frequenza della voce vi era una risposta sonora della struttura.
Per questo motivo assieme al nostro gruppo di ricercatori hanno collaborato anche dei professionisti di canto armonico che hanno cercato di mettere in risonanza i tunnel.

Non c’è dubbio che sentire cantare anche in antico aramaico in una struttura di questo genere oltre ad interessarci dal punto di vista scientifico ci ha colpito per la suggestione del momento straordinario.
I tunnel, infatti, in questo periodo vuoti dalle visite dei turisti per i problemi di illuminazione già spiegati in precedenza, ci hanno restituito un’originalità inaspettata.

Protagonista in prima persona il nostro tecnico del suono Heikki Savolainen che ha condotto magistralmente le registrazioni.
Le voci dei cantanti sono stati registrate mediante l’uso di apparecchiature professionali con campionamento fino a 96.000 hz.

 

 

La cantante Denise Myriam Cannas mentre esegue diverse frequenze vocali

La metodica delle registrazioni si basava principalmente sulla registrazione in aria delle voci dei cantanti mediante l’uso di microfoni stereo Sennheiser e contemporaneamente la risposta di risonanza dei tunnel veniva saggiata con dei microfoni Hydrophones sensibilissimi, posti nell’acqua sul fondo dei tunnel e collegati ad un altro registratore (registratori Marantz e Zoom).

 

Nella pausa tra un canto e l'altro abbiamo subito verificato i risultati sul computer

Lo specchio sonoro fornito dalla ampia superficie d’acqua ha permesso di valutare la risposta sonora anche a molta distanza dal luogo di emissione delle frequenze.

I primi risultati preliminari si sono ottenuti sovrapponendo al computer le diverse tracce delle registrazioni ed è stato possibile scoprire che la frequenza di risonanza dei tunnel originali è molto bassa, intorno ai 74 hz. Ma altrettanto interessante era la diffusione del timbro della voce femminile della cantante Denise Myriam Cannas che ha messo a dura prova la sua voce per circa due ore.


L’esperimento è durato in totale circa 3 ore, ma l’attenta osservazione delle tracce sonore richiederà almeno un paio di mesi di analisi in studio.

Paolo Debertolis – 20 gennaio 2012
Registrazione originale di parte del canto antico effettuato nei tunnel dai microfoni in aria per verificare la risposta in frequenza eseguito dalla cantante Denise Myriam Cannas: qui. http://www.sbresearchgroup.eu
/Immagini/Denicehss.mp3

Fonte: Link
Tratto da: Link

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