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domenica 14 agosto 2011

OSSA UMANE DAL LEGNO DEGLI ALBERI di Antonio Leggieri



                                                        tessuto osseo in sezione


Ottenere ossa umane dal legno degli alberi. Curare milioni di pazienti in Italia e nel mondo con nuove, rivoluzionarie protesi ricavate dal rattan, pianta di origine indiana usata per fabbricare sedie e bastoni, e dalla quercia. L’intuizione dei ricercatori dell’Istec - l’Istituto di scienza e tecnologia dei materiali ceramici del Cnr di Faenza - rappresenta una delle più importanti iniziative in campo biomedico degli ultimi anni. Se n’è accorta la rivista britannica Time, che l’ha inserita tra le cinquanta migliori invenzioni del 2009. Ancora più importante il contributo dell’Unione europea, che tre anni prima aveva deciso di finanziare il progetto con 700 mila euro. A marzo prossimo i finanziamenti europei termineranno, ma il team faentino guidato dalla dottoressa Anna Tampieri, sette ricercatori tutti con contratti di collaborazione a tempo determinato, continuerà a lavorare alacremente. Tra di loro Simone Sprio, trentanove anni e una laurea in fisica, fa il punto delle prossime scadenze e degli obiettivi a breve termine. «Dobbiamo trovare un nuovo bando europeo che possa sovvenzionare il progetto, poiché è ridotta al lumicino la speranza che i soldi per pagare gli stipendi e il lavoro del team arrivino dall’Italia». . Se tutto andrà per il verso giusto, entro il 2020 si potrà iniziare la sperimentazione sull’uomo. Saranno così gradualmente eliminate dal mercato le protesi di titanio, al momento utilizzate per sostituire ossa lunghe come la tibia e il perone, e sarà dato spazio alle nuove protesi di legno, più idonee alla creazione di idrossiapatite, il primo costituente minerale del tessuto osseo umano.


I materiali usati per realizzare protesi, come il titanio o il cobalto, sono molto resistenti ma hanno proprietà meccaniche superiori a quelle delle nostre ossa. Questo implica che, soprattutto nei pazienti giovani che abbiano subito la frattura di una gamba o di un braccio, la protesi tradizionale rappresenti una soluzione parziale, perché mentre il resto del corpo cresce, la protesi resta immutata. Non solo, spesso la protesi non biocompatibile si stacca e deve essere sostituita, senza contare i rischi legati alla possibilità di trasmissione di virus. Da qui l’idea di ricorrere a sostanze più naturali come il legno, che al microscopio presenta una struttura molto simile a quella delle ossa umane. Ma i processi chimico-fisici che consentono la trasformazione del legno in protesi ossea sono complessi e ricchi di insidie anche per gli addetti ai lavori.



«Perché la trasformazione abbia successo» spiega Simone Sprio, «si ricorre a reazioni chimiche che utilizzano il calore indotto da un forno di laboratorio, raggiungendo temperature di mille gradi. Sono fasi successive, ognuna necessaria per il conseguimento dell’obiettivo». In pratica, la struttura del pezzo di legno non viene modificata, ma è trasformata in carbonio prima, poi in carburo di calcio. A sua volta, il carburo di calcio viene trasformato in ossido di calcio carbonato e infine in fosfato complesso di calcio, l’idrossiapatite appunto, che delle ossa umane rappresenta i “mattoncini” indispensabili per il loro corretto funzionamento. Il processo chimico di trasformazione del legno in idrossiapatite dura in media due settimane. Una volta impiantata la protesi, il corpo umano ha bisogno di almeno un anno di tempo prima di riempirla con idrossiapatite. Riconosciuto il tessuto come proprio, il corpo facilita il trasferimento degli osteoblasti, le cellule deputate alla produzione dell’osso, nelle zone interessate dal processo. In questo modo, la protesi scompare all’interno dell’osso in formazione, cosa impossibile da realizzare ricorrendo alle tradizionali protesi di titanio. Il legno diventa osso, e il nuovo osso si salda con quello adiacente in modo da creare una struttura unica, che non deve mai più essere sostituita. Il costo? Ottomila euro per un femore, cinquemila per un osso più piccolo. Cifre inferiori rispetto ai costi attuali, giustificate dal fatto la trasformazione del legno in idrossiapatite usa per lo più il solo calore dei forni e reagenti economici. Prevedere però fin da ora il costo di un intervento è impresa ardua: è probabile, secondo Sprio, che i costi resteranno più o meno gli stessi di quelli praticati sul mercato attuale, dal momento che comunque «la ricerca necessaria per arrivare ai certi risultati ha un costo che deve essere ripagato"

La scelta di alcuni tipi di legno piuttosto che di altri ha richiesto anni di studi, esperimenti falliti e speranze alimentate dal calore dei forni da laboratorio. E’ stata l’Università Boku di Vienna, che partecipa al progetto insieme all’Università di Bologna e ad altri atenei europei, la “responsabile” della scelta del rattan e della quercia rossa canadese. Il rattan è un tipo di canapa indiana molto resistente, utilizzata per costruire sedie e bastoni. Gli esperimenti e le analisi al microscopio hanno dimostrato che presenta una struttura molto simile a quella dell’osso umano, così come la quercia rossa. Il rattan verrà usato per realizzare la parte interna della protesi, la più delicata, visto che la sua struttura cartilaginea molto simile a quella dell’osso umano favorisce la angiogenesi, cioè lo sviluppo di nuovi vasi sanguigni a partire da altri già esistenti. La quercia rossa canadese verrà invece utilizzata per la parte esterna.

Il primo osso di legno è stato innestato alcuni mesi fa nella zampa di una pecora, animale scelto perché ha ossa lunghe che sostengono un peso considerevole. Il lavoro è stato eseguito dall’équipe del dottor Maurilio Marcacci, che insieme alla dottoressa Elizaveta Kon del laboratorio di biomeccanica dell’Istituto ortopedico Rizzoli lavorano alla sperimentazione delle bio-protesi realizzate a Faenza


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